LA MIA FAMIGLIA DI
ORIGINE
31 marzo 2021
Il riportare alcuni
dettagli della mia famiglia di appartenenza non è una manifestazione di
orgoglio, ma la descrizione degli eventi principali che la interessarono dagli
Anni Trenta agli Anni Sessanta. Nello stesso tempo, voglio ricordare tutte le
famiglie battipagliesi che condivisero quel periodo, storicamente
caratterizzato da una grande tensione morale e civile.
Nei link
contenuti nel testo che segue sono contenute alcune foto dell’epoca. Le foto
sono state fatte da uno dei componenti della mia famiglia; o li riguardano.
Purtroppo, molto del patrimonio di immagini andò perduto sia nel corso dei
bombardamenti del 1943 sia negli anni successivi. Rammento che le foto non
possono essere utilizzate senza citarne la fonte.
Mio padre, Stefano
Messina, nato ad Eboli il 5 dicembre 1905 (mancato il 20.6.84), e mia madre, Raffaela Mauro, nata a Olevano
sul Tusciano l’11 dicembre 1916 (30.11.91), si sposarono nel 1935 nella Chiesa
madre di Olevano sul Tusciano.
Mio padre, originario
di Eboli, ebbe una fanciullezza disagiata e dovette ben presto arrangiarsi da
solo. Dopo la prima elementare, iniziò a fare il pastore di ovini e bovini sui
Monti e nella piana di Eboli. Di statura bassa, era caratterizzato da una viva
intelligenza, da un forte stimolo a conoscere e da una gran voglia di vivere.
Dopo aver fatto anche il muratore, continuando ad erudirsi con la lettura dei
classici della letteratura persino nelle pause del pranzo, e dopo l’esperienza
in un pastificio della zona, fu attratto dalla fotografia, arte che all’epoca stentava
a diffondersi per la complessità degli strumenti. Fu determinante l’incontro
con la famiglia Di Tolla, di Eboli, che gl’insegnò le nozioni necessarie.
Quanto a mia madre,
Raffaela Mauro, apparteneva a una famiglia benestante di Olevano sul Tusciano
che, tuttavia, subì gli effetti della crisi economica e della conseguente
emigrazione del papà, Direttore della banda musicale di Olevano, negli Stati
Uniti. Mia madre era una ragazza fattiva e intelligente ma, come prima delle
sorelle, dovette abbandonare presto la scuola per dedicarsi alla famiglia.
Appena giovanetta, seguì il fratello Ernesto a Battipaglia per assisterlo nelle
faccende e nel preparare la biancheria della barberia. Fu in quel contesto che
conobbe mio padre.
L’inizio dell’attività fotografica.
Mio padre conseguì la
licenza nel 1928 ed iniziò l’attività di
fotografo ambulante nei territori dei Comuni di Eboli, Olevano sul Tusciano e
Battipaglia; dove si stabilì dopo che, nel 1929, quest’ultima fu costituita
come Comune autonomo. D’estate percorreva il litorale dal Lido Lago alla
Spineta per riprendere i bagnanti che cominciavano a frequentare le spiagge
sempre più numerosi. Era orgoglioso di essere stato il primo fotografo di
Battipaglia e ne rimase l’unico fino alla fine degli Anni Cinquanta. Stabilì la
sua sede in Via Roma, prima in un locale nell’androne
del palazzo Ragone, ora De Cesare, poi nel negozio, al numero 138, del palazzo
Guarino.
Dopo il Matrimonio i
miei genitori fecero il loro viaggio di
nozze a Napoli, Pompei, Roma e Littoria, l’attuale Latina. Pochi anni
dopo, mia madre si dedicò anch’essa alla fotografia, occupandosi
prevalentemente della camera oscura e delle riprese interne. Anche i figli, Angela 1,
Matteo (morto prematuramente), Enzo 2, Rita, Matteo 3, a
cui fu attribuito lo stesso nome del fratellino deceduto un anno prima, e
Rocco, sin dalla loro infanzia furono avviati all’attività fotografica.
Verso la Seconda Guerra Mondiale.
Nel tempo l’attività
fotografica crebbe. Stefano migliorò le attrezzature e la qualità delle foto,
specializzandosi nelle fototessere, nel ritocco, nelle riprese esterne e nella
vendita di macchine fotografiche e cinematografiche per dilettanti.
Negli Anni Trenta
acquistò la “Leica”, una macchina fotografica
tedesca che costituì una rivoluzione nella fotografia professionale. In
precedenza, infatti, gli strumenti utilizzati erano di legno, ingombranti e
necessitavano spesso del sostegno di un treppiedi. Scattavano una foto alla
volta, utilizzando lastre fotografiche di vetro, dei formati dal 18x24 al 6x9
cm; per fare una sequenza di foto occorreva anche più di un minuto. Le macchine
per il non folto pubblico dei dilettanti usavano pellicole in celluloide, erano
piccole, di metallo, ma poco precise e comunque lente.
La Leica, invece, era
di metallo e veniva caricata rapidamente; era maneggevole e consentiva di fare
trentasei rapidi scatti utilizzando una pellicola in celluloide, alta 35 mm e
lunga circa un metro e mezzo. Il costo era molto elevato, ma fu ripagato
ampiamente; nel corso del tempo ne comprò quasi una decina, tutte puntualmente
rubategli.
Per inciso, in quel
periodo anche in Italia erano attive industrie del settore, fra le quali: la
Lamperti e Garbagnati di Milano per le macchine da ripresa; la Ferrania per il
materiale sensibile, poi incorporata dalla 3M; e, negli Anni Cinquanta, la
Bencini per ottime ed economiche macchine per dilettanti e la Durst, di Bolzano, per gli ingranditori.
Dall’acquisto della
Leica fu più facile documentare le manifestazioni
pubbliche della zona.
Nel corso della
guerra, papà spostò la famiglia e l’attività temporaneamente ad Eboli, in
Piazza della Repubblica, nei pressi dello storico Bar Ginetti. In quel periodo
frequentavano il suo Studio anche i soldati tedeschi, alcuni dei quali
contribuirono ad affinare ancor più la sua tecnica. Quanto alle relazioni con
le Autorità e le truppe che si susseguirono sul territorio, nonostante i tanti
rischi, non ebbe problemi di rilievo. Il suo atteggiamento era improntato alla
prudenza e al rispetto, per proteggere la sua famiglia. Anche dopo la guerra,
per diversi anni riservò agli uomini in divisa di qualunque Arma uno sconto
fisso.
Intanto, a
Battipaglia, che costituiva un importante nodo stradale e ferroviario, dal 20
giugno al 14 settembre 1943, vi furono copiosi bombardamenti a seguito dello
sbarco delle truppe Alleate nella zona. La famiglia, composta all’epoca da tre
bambini, fu costretta a spostarsi nel Comune di Campagna, dove si erano
radunati altri sfollati.
Battipaglia fu quasi
completamente rasa al suolo. Il palazzo Ragone, dove era comunque rimasta parte
delle attrezzature fotografiche, fu colpito da una bomba, che provocò il crollò
dell’ala in Via 20 Settembre.
Dopo lo sbarco,
ritiratesi le truppe tedesche, la famiglia ritornò a Battipaglia, iniziando
così la convivenza con i soldati americani e inglesi. Mio padre fu obbligato
dal Comando Americano a seguirlo per documentare fotograficamente l’attività di
progressiva normalizzazione della situazione; lo ricompensavano con stecche di
sigarette. Tutte le foto e le pellicole dovettero essere consegnate al Comando
americano e sono oggi custodite negli archivi Statunitensi. Il rapporto che si
creò fu comunque molto buono, tanto che gli proposero di trasferirsi in
America.
Una settantina di
foto che riuscì a tenere segretamente, di cui alcune qui evidenziate, furono nel
tempo concesse per essere mostrate in diverse manifestazioni pubbliche.
Il primo dopoguerra.
La situazione si era
appena normalizzata quando, il 27 ottobre 1946, la famiglia subì una grave
disgrazia: il vispo e sveglio Matteo, di soli nove anni, fu coinvolto
nell’incendio dello studio fotografico, rimanendo gravemente ustionato; morì
pochi giorni dopo.
In origine, infatti,
le foto professionali venivano fatte prevalentemente all’esterno. Quelle
all’interno erano legate all’intensità della luce naturale e presupponevano
lunghi tempi di posa, specie in giornate non assolate. I classici mobiletti di
legno delle foto d’epoca, su cui sono appoggiati i gomiti delle persone, erano
un espediente per consentire ai soggetti di rimanere immobili. La prima luce
artificiale utilizzata negli interni fu il magnesio, che veniva incendiato in piccole
quantità su un’apposita asta di metallo per innescare il lampo di luce. Fu
proprio l’improvviso incendio della riserva di magnesio a provocare la morte di
Matteo. Solo in epoca successiva furono introdotte, prima delle apposite
lampadine, utili per una solo foto e, successivamente, i flash elettronici,
inizialmente molto pesanti a causa delle grosse batterie.
Dopo il boom degli
Anni Cinquanta, verso la fine degli Anni Sessanta la situazione iniziò
lentamente e progressivamente a degradarsi, fino a raggiungere i livelli
odierni di problematicità.
Dal punto di vista
professionale, mio padre introdusse alla fotografia diverse persone, fra cui
suo fratello Vincenzo e suo cognato Amato, ambedue ottimi fotografi, il primo
insediatosi a Mercato San Severino, il secondo a Olevano sul Tusciano. Solo
verso la fine degli anni Cinquanta aprirono altri fotografi: in Via Italia, il
prof. Bortolone, pressappoco dov’era la cartolibreria
Mastrangelo, e Celentano, di fronte all’ex Cinema Alambra,
spostato un po’ verso la stazione; successivamente si insediarono Benito, che
fissò la sede definitiva in Via Olevano, Landi, che aprì a Via Rosa Jemma ed
Elio, in Via Mazzini. Seguirono, poi, diversi altri.
Verso la fine della
loro carriera professionale, prima a mio padre (il 30 marzo 1968) e poi a mia
madre (29 novembre 1975), furono attribuite dalla Camera di Commercio di
Salerno le medaglie d’oro per la Fedeltà al
Lavoro.
Delle attrezzature utilizzate nel tempo è
rimasto quasi esclusivamente il pezzo più interessante.
Negli Anni che
seguirono l’attività fotografica fu proseguita da mia sorella Angela; poi da
sua figlia Valeria fino agli inizi del Duemila quando cessò. Vincenzo (Enzo)
negli Anni Ottanta aprì un autonomo negozio di Ottica e Fotografia, poi portato
avanti dalla moglie Margherita e attualmente dalla figlia Francesca. Rita si
dedicò all’insegnamento nelle Scuole Superiori; Matteo svolse l’attività di
Commercialista e Revisore dei Conti mentre io fui assunto nella Banca d’Italia
dove ho lavorato sino a gennaio 2009.
I primi ad aprire un
negozio di ottica a Battipaglia furono i miei cugini Ettore e Michele Mauro,
figli di Ernesto.
Quanto ad altre
notizie su Battipaglia, negli Anni Sessanta c’erano: una sola Parrocchia,
quella della Madonna della Speranza; una Scuola Elementare, la Edmondo De
Amicis, in Piazza Amendola (oltre alcune altre aule distribuite sul
territorio); una Scuola Media, la Francesco Fiorentino, allora allocata in
un’ala del Municipio, in Via Turati e una Scuola Media di “Avviamento”, sita
nell’ala opposta, in Via Gramsci. L’Istituto Tecnico per Ragionieri, Fabio
Besta, che iniziò a funzionare verso la fine degli Anni Cinquanta in via
Puccini, rimase l’unica Scuola superiore per circa tre decenni.
1 Fotografa, che poi proseguirà l’attività dei genitori; deceduta il
26.8.2007.
2 Fotografo e ottico con negozio proprio; deceduto il 4.12.1977.
3 Dottore Commercialista, deceduto il 16.12.2010.