Principi di dis-organizzazione (18
febbraio 2021)
L’organizzazione
è l’insieme, formalizzato o no, che regola qualunque contesto e che consente di
raggiungere gli obiettivi prefissati; e in base al quale vengono decisi: la
struttura, i ruoli, le funzioni, le procedure da seguire, le verifiche da
compiere. Lo scostamento rispetto al fine da raggiungere misura l’adeguatezza
delle decisioni assunte.
La
complessità o meno della struttura è influenzata innanzitutto dai contesti; è
chiaro che in ambiti ristretti, quale la famiglia, non si formalizzano le
regole della convivenza; sebbene qualche volta sarebbe opportuno farlo.
Questa
osservazione consente di richiamare un concetto assurdo, quanto reale, diffuso
già nel primo secolo dopo Cristo, secondo il quale le regole costituiscono un
fallimento!
Infatti,
l’Organizzazione perfetta, umanamente irrealizzabile, è quella priva di regole
in cui tutti, autonomamente, riconoscono il proprio e l’altrui ruolo e
l’apporto che gli è richiesto; e accettano di buon grado i benefici che
ricevono: ciò che è strettamente collegato all’Amore.
Le
migliori formazioni sportive professionali cercano di raggiungere un risultato
analogo: tutti gli atleti, pur con ruoli definiti, si adoperano
spassionatamente per sopperire a eventuali deficienze dei compagni. In questi
casi, però, la motivazione è data soprattutto dai lauti compensi.
La
formalizzazione delle regole è invece indispensabile quando si tratti di
contesti di dimensioni complesse; fino al punto che per alcune tipologie di
aziende è richiesto dalla legge una regolamentazione completa quale
dimostrazione di una buona gestione.
Nella
vita reale, tuttavia, la formalizzazione, nonché la corrispondenza fra
regolamenti e comportamenti concreti, evidenziano tutta una serie di anomalie.
Nella mia
esperienza di responsabile di ispezioni presso banche di piccole dimensioni mi
sono capitati due casi estremi.
Il primo
si riferisce a un’ispezione in provincia di Vicenza. Appena arrivato in banca,
l’anziano e diligente Direttore mi presentò una decina di volumi che regolavano
tutta l’attività, fino al punto che fui costretto a fargli presente che sarei
stato io a consegnargli l’elenco della documentazione che mi avrebbe dovuto
esibire in via prioritaria. Capii successivamente i motivi che avevano ispirato
la sua iniziativa: da una parte, nelle ispezioni precedenti gli era sempre
stata contestata la carenza della regolamentazione, dall’altra pensava che per
questo motivo io mi sarei schierato a favore del più giovane Vicedirettore, che
era in attesa di sostituirlo.
Dopo aver
avviato le mie attività preliminari, dovetti mio malgrado dare una scorsa alla
copiosa documentazione che mi aveva presentato sin dal primo giorno: era quasi
perfetta in ogni dettaglio e copriva ogni attività. Senonché, senza falsa
modestia, ritengo di essere stato un ispettore con una sensibilità particolare.
In precedenza, oltre agli accertamenti ispettivi, il lavoro in un Istituto che
rappresentava un’eccellenza nazionale, aveva riguardato ambiti differenti, nei
quali avevo potuto sperimentare criticamente l’efficienza, l’efficacia delle
procedure e la motivazione del personale. Dunque immedesimandomi nei diversi
funzionari della banca, oberati da tutta una serie di incombenze, intuii subito
che non avevano avuto nemmeno il tempo di leggere quelle diverse centinaia di
pagine; circostanza confermatami nei colloqui che ebbi con gli stessi.
Alla fine
dell’ispezione la banca e il Direttore non ebbero una valutazione negativa, ma
non mancai di sottolineare che i regolamenti non devono essere fine a sé
stessi, ma funzionali al raggiungimento degli obiettivi aziendali; pertanto,
una delle caratteristiche principali di una buona regolamentazione è di essere
facilmente fruibile per il personale.
Per
inciso, anche la concessione delle deleghe non deve avvenire in maniera
automatica in base alle Funzioni quanto, piuttosto, in relazione alla qualità
professionale e all’affidabilità delle persone che le ricevono.
Il
secondo caso mi capitò in una banca della provincia di Caserta. Essendo
originario del Sud, sapevo già in partenza che avrei probabilmente trovato
delle deficienze organizzative; circostanza che mi apparve chiara sin
dall’inizio, non riscontrando un’adeguata formalizzazione.
Salvo ad
esaminare i rimanenti aspetti aziendali, la verifica dell’organizzazione si
sarebbe potuta anche considerare chiusa. Senonché, cercai di capire quali fossero
la cultura aziendale e i comportamenti dei singoli dipendenti, arrivando a
convincermi fondatamente che la banca funzionava come un orologio svizzero:
normalmente gli impiegati operativi, dopo aver completato impeccabilmente le
loro incombenze giornaliere, andavano a fornire il loro supporto nei settori
che erano in affanno. In tal modo potevano essere completate quotidianamente
tutte le incombenze, si riduceva il ricorso al lavoro straordinario e tutti
andavano a casa più o meno alla stessa ora. Semmai, i problemi erano da
rilevare in altri aspetti della gestione.
Ero in
difficoltà, secondo i canoni degli accertamenti ispettivi avrei dovuto eccepire
alla banca carenze regolamentari; in caso contrario i colleghi della Sede
centrale che dovevano vagliare criticamente il mio rapporto ispettivo non
avrebbero capito e condiviso il mio silenzio in merito.
Alla
fine, mi attenni alle finalità prioritarie delle ispezioni rivolte alle banche
non problematiche: tendere a favorire la solidità patrimoniale, l’efficienza e
a migliorare il servizio reso alla clientela. In materia organizzativa, dunque,
inserii nel rapporto ispettivo solo un semplice richiamo a migliorare la
formalizzazione.
Per sola
notizia, per le banche problematiche, quelle cioè in cui si riscontravano
irregolarità ripetute o gravi, o perdite elevate, l’impostazione delle
ispezioni era diversa e tendeva a produrre il deciso rientro nella normalità
delle stesse, ovvero la loro espulsione dal mercato (fusioni, liquidazioni, ecc).
Fra i due
casi estremi rappresentati, la realtà evidenzia una miriade di altre
situazioni, la maggior parte delle quali carenti, specie per la mancanza di
autonome e serie verifiche periodiche.
Per
chiarire bene il concetto, richiamo il funzionamento degli sport a squadre,
dove non vince chi fa più gol, fase di attacco; ma chi ne fa più di quanti ne
subisce dall’avversario: fasi di attacco e difesa opportunamente tarate per
ogni partita. Allo stesso modo, nelle Organizzazioni complesse, oltre
all’efficienza nei comparti societari, amministrativi, tecnici, industriali e
commerciali, è necessario che sia anche tutelata l’assenza di deficienze e
perdite che pregiudichino il lavoro svolto dagli altri settori. Deficienze e
perdite che possono derivare sia dall’interno, sia dal mancato rispetto della
Legge, sia dall’esterno. Semmai il problema che si pone è far sì che i
controlli siano organizzati in maniera economica e coerente.
Il
principio basilare dei controlli, non presente nei manuali specialistici, ma
desunto dalla mia esperienza nel settore, è: “Nessuno può essere esente da
controlli sul suo operato, nemmeno Responsabili e controllori”. In altre parole
non devono esserci aree o persone che possano agire in maniera indiscriminata:
non quindi una piramide, con una base e un vertice; ma un cerchio, sulla cui
circonferenza insistono tutti i soggetti, nessuno di essi escluso dai
controlli. Ciò è ancor più necessario nelle organizzazioni societarie e negli
Enti privati e pubblici, dove le persone che vi operano non sono quelli che
subiscono le perdite del capitale e le inefficienze.
Una moda,
introdotta circa una trentina d’anni fa dall’esperienza americana, è
l’introduzione dei manager, remunerati profumatamente e esenti da controlli,
dotati della capacità di ottenere dai sottoposti risultati performanti; che
spesso risultano obiettivamente irrealizzabili. Ciò proprio in un contesto
storico in cui non è possibile trovare in una sola persona competenze tali da
poter affrontare e risolvere tutte le sfide e le problematiche del complesso
mondo moderno. I sistemi americani e anglosassoni non sono più un modello da
seguire acriticamente.
Nel
tempo, a parte l’endemica inefficienza di gran parte del Settore pubblico, che
nemmeno l’automazione è riuscita a scalfire, anche nel privato vi sono state
eclatanti inefficienze, che hanno provocato danni ingenti e perdite di vite
umane.
Sempre
per inciso, un caso eclatante di dis-organizzazione
mondiale è evidente proprio in questa crisi pandemica: i responsabili degli
Stati e dei Governi assumono le proprie decisioni sulla base di pareri medici
che essi non sono ovviamente in grado di poter valutare. L’anomalia non
consiste in ciò; ma nel fatto che sono arrivati a posti di responsabilità,
anche nel settore medico, figure di non assoluta affidabilità.
Un cancro
dell’organizzazione consiste proprio nell’anomala attribuzione di ruoli e
responsabilità. Nelle posizioni di potere, in situazioni di normalità i danni
di disonesti e arrivisti possono essere facilmente nascosti e taciuti; in molti
casi gli uffici continuerebbero a funzionare anche senza il loro apporto.
Quando si è però in situazioni straordinarie o di emergenza – che comunque si
verificano! – si paga caramente il fatto che non si dispone di persone oneste,
affidabili, obiettive; capaci di confronto con gli altri e di posporre i propri
interessi al bene comune.
Riprendendo
il discorso, non è difficile imbattersi in Enti o Uffici che continuano a
esistere solo perché storicamente costituiti, ma che andrebbero eliminati,
ridimensionati o accorpati. Si tratta di decisioni importanti in cui spesso si
inserisce un altro cancro dell’organizzazione: non fare ciò che è necessario,
ma ciò che costituisce una mediazione di istanze diverse; provenienti da
improprie fonti interne o esterne di potere.
Casualmente,
qualche mattina fa mia moglie mi ha chiesto come mai gli Ebrei non abbiano
riconosciuto Gesù di Nazareth. Innanzitutto, le ho precisato che non è del
tutto vero; i primi apostoli erano ebrei e San Paolo, il più colto e il più
ortodosso nell’applicare le leggi ebraiche, era ebreo e, anzi, è stato il
discepolo che ha diffuso il cristianesimo ben oltre i confini della Palestina,
fino ad essere denominato: l’Apostolo degli stranieri. Ancora oggi, poi, ci
sono ebrei che sono cristiani, qualcuno dichiarato Santo dalla Chiesa
cattolica.
Poi,
d’istinto, le ho fatto una domanda: “Secondo te, le Autorità soprattutto
religiose che Gesù ha sconfessato, e tutti quelli che si erano preparati a
diventarne parte o che le avrebbero potuto sostituire nel tempo, con l’avvento
del Cristianesimo hanno rinunciato alle loro prerogative e alle loro
aspettative, tornando a pascolare le greggi o a coltivare i campi?” È seguito
un ovvio silenzio. Gli Ebrei per secoli hanno rinnegato il loro più illustre
rappresentante, adorato in tutti i continenti; dal quale se non altro è partita
l’attuale datazione in uso in tutto il mondo, perché le strutture preesistenti dovevano
continuare ad esistere!
Per
inciso, uno dei dati più interessanti del Cattolicesimo è essere fondato su una
persona del tutto estranea al suo territorio e alle proprie tradizioni
storiche.
Una volta
creata un’entità, anche se divenuta improduttiva, è difficile eliminarla.
Bisognerebbe adottare soluzioni simili a quelle che si vanno determinando nel
riciclo dei rifiuti. Non c’è la cultura di riutilizzare persone e competenze in
attività utili
Nell’organizzazione
moderna, poi, è diffuso un ulteriore cancro: la rigidità delle strutture che,
invece di essere uno strumento per raggiungere i risultati, finiscono per
essere di ostacolo. Non si vuole affrontare alla radice il problema della
mancata correttezza o diligenza delle persone; che si cerca di risolvere automatizzando
e modificando le procedure. Sarebbe molto più proficuo incentivare nel tempo le
persone a ricoprire ruoli elastici, stimolandone l’apporto critico costruttivo,
piuttosto che mortificarlo; adeguatamente formandole e motivandole. In tal modo,
attrezzarsi per poter affrontare i cambiamenti non costituirebbe una criticità.
Nel
nostro Paese abbiamo una struttura statale e burocratica che, dopo essere stata
per qualche decina di anni alquanto coerente al contesto esterno, non lo e più.
Globalizzazione, progressi tecnologici, continui e repentini cambiamenti
l’hanno resa inadeguata. Essa è ora un insieme scoordinato di strutture sia
centrali sia periferiche, in cui prevalgono il protagonismo e l’interesse dei
responsabili rispetto all’interesse nazionale e locale; e, soprattutto,
inadeguata a quanto richiederebbe la mutata situazione. Se non siamo del tutto
deficitari rispetto agli altri Paesi è solo perché anch’essi hanno in parte
problemi simili.
Siamo di
fronte alla più palese e deleteria disorganizzazione, che non risparmia
Burocrazie, Aziende, Società ed Enti.
E,
dunque?
Le sfide
della moderna organizzazione si fondano: sulla qualità delle persone (onestà,
obiettività, affidabilità, intelligenza, elasticità, formazione); sulla
costruzione di strutture elastiche; sull’utilizzo delle moderne tecnologie
informatiche e tecniche; su nuove forme di lavoro e di collaborazione; sulla
centralità della qualità, dell’attenzione al cliente e del rispetto
dell’ambiente; sull’efficacia informativa interna e esterna (favorendo uno
stile pubblicitario, basato su una corretta informazione piuttosto che su
suggestioni); sul mantenimento dei valori; sul vaglio di quanto è da mantenere,
perché d’interesse storico, e quanto modificare o abbandonare.