Notti di capodanno.
Ci sarà un motivo se in questo preciso momento mi trovo qui,
contrariamente alle mie abitudini e al mio modo di essere, al di là di ogni
possibile immaginazione.
Perché non in una notte qualunque, ma in quella così piena di
fascino e di simboli dell’ultimo giorno del Duemila, io non ho continuato a far
baldoria con la mia numerosa, allegra e scanzonata comitiva? Perché ho lasciato
tutti, all’improvviso, seguendo un irrefrenabile impulso che mi ha portato sin
qui, in questo ambiente straordinario di cui ignoravo persino l’esistenza?
Io che non ho problemi, che sono il più invidiato della compagnia,
il più a suo agio nella confusione. Io che amo la vita e mi diverto, che non ho
rimpianti, che sono così fortunato!
Non è forse così?
Io qui, solo, e il mondo, il mio mondo, altrove.
Il mare, la luna e le stelle sono uno spettacolo in questa fredda
notte d’inverno, ma calma. E’ solo il rumore delle onde, che lentamente e
ritmicamente si frangono sugli scogli, che mi fa percepire che l’universo e la
vita non si sono, irrazionalmente, fermati.
Ma sono fermo io! Sono sopiti i miei sensi, assenti le mie
pulsioni. Persino la coscienza di quest’attimo sembra non appartenermi.
E’ come se, assurdamente, in questo preciso istante io non fossi
il protagonista di me stesso! E rimango tale.
Un botto mi fa sobbalzare. Qualcuno, a notte inoltrata, ancora
festeggia.
Ho ripreso coscienza. Sono di nuovo presente, sono qui, e mi
riapproprio di me stesso.
Ma qualcosa, che non riesco a percepire, mi sembra cambiato!
Mi sembra di riuscire a cogliere dettagli che prima mi lasciavano
indifferente e mi sfuggivano; e mi sento proiettato verso orizzonti più vasti e
senza limiti.
Il chiarore e i riflessi della luna nel mare illuminano l’antica
torre d’avvistamento - un cartello indica: Torre Zancale - la scogliera
sottostante e la piccola baia, deserte eppure così vicine al centro abitato e
al porto, di cui si scorgono le luci e il piccolo faro.
Prima d’ora non avevo mai avuto una percezione così immediata,
netta e consapevole del paesaggio circostante. Mai prima d’ora mi ero sentito
così in simbiosi con l’ambiente, così padrone di me stesso e del tempo.
Questo silenzio, questa temporanea solitudine, questo sapore così
intenso, preciso e a me sconosciuto della natura, da cui mi sento avvolto,
quasi mi stordisce e m’inebria.
E, allo stesso tempo, sembra insinuarsi sin nel profondo del mio
intimo, della mia anima, mettendola a nudo.
Ma che vado farneticando? Il silenzio, la solitudine; la natura
che mi circonda, persino il pensare all’anima invece di un po’ di salutare
confusione; di una bella, giovane e soprattutto disponibile compagna?
Un’anima!?
Che mi stia dando di volta il cervello?
E’ meglio rientrare. Forse prima dell’alba potrò ancora godere di
qualche briciolo di baldoria. Dovrei essere a Paestum, all’Ariston, in poco più
di un’ora.
* * *
—
Ancora al Sud? Vietri sul Mare?
Ma è proprio necessario festeggiare anche il capodanno del Duemilauno fuori? Ma
sì, vai! Altrimenti che capodanno sarebbe. Per compagnia chi abbiamo? Mi porti
Elena, la ragazza che mi hai presentato la settimana scorsa?
—
Come sempre t’accontenti di
niente! Vedrò cosa posso fare. Non sarà facile convincerla. Sarebbe meglio se
fossi tu a chiederglielo. Ti farò sapere. Comunque saremo in buona compagnia.
Da Treviso saremo circa una ventina di persone; a Vietri sul Mare, poi, ci
aspetta la comitiva dei nostri amici salernitani. Andremo all’Hotel Raito.
—
Ok. Pensa tu a tutto.
—
Come al solito!
—
Inviami i dettagli sull’e-mail.
Fino a mezzogiorno del trentuno sarò molto occupato, ricordati di non prenotare
il volo prima delle diciassette!
* * *
—
Elena, è tanto che stiamo
ballando. Andiamo un po’ in terrazza? Basta oltrepassare la vetrata.
—
Sì. Che panorama stupendo che si
presenta!
—
Sì, ma che tempaccio; e quanta
gente!
—
Vorresti farla scomparire? La
notte di Capodanno? Anzi la mattina. E’ l’una!
—
Fare scomparire la gente? Forse è
possibile. Vuoi venire con me? Con te sto bene. Piantiamo tutti qui. Chiamiamo
Matteo e Anna e andiamo a Marina
di Camerota.
—
A quest’ora? E dov’è? In quanto
ci si arriva?
—
Due ore.
—
Due ore?!
—
Sì, ma Matteo è del posto e
conosce: ha un appartamento in un palazzo storico proprio sugli scogli.
—
Mi sembra una pazzia, e poi come
farai a convincerli? A guardarli, si stanno divertendo un mondo!
—
Vieni, ti farò vedere. Matteo,
si va a Marina di Camerota?
—
Sei pazzo. A quest’ora e proprio
nel momento migliore!
—
Dai. Va in mona, pigro terrone!
—
Lo prendo come un augurio
...vero Anna? E vabbè facciamo
contento questo rompiglione di un
polentone se no va in giro dicendo che non sappiamo vivere. Avvertiamo gli
altri!
—
Non vedi che sono tutti
indaffarati? Andiamo!
—
E va buo’, iammucenn! Volevo dire,
andiamo!
* * *
—
Hai visto che paesaggi, Elena?
—
Non ne avevo mai sentito
parlare, prima. Sono incantevoli. E’ come se all’improvviso ci fossimo
catapultati in un ambiente vergine e incontaminato. Solo che con questo
tempaccio e quest’oscurità si riesce a vedere poco. Se non fosse per il vento e
per la luna che ogni tanto fa capolino fra le nubi, non si scorgerebbe nemmeno
il mare.
—
Matteo, si va alla torre
Zancale, quella dopo la spiaggia di Lentiscelle?
—
Si’ pazz’! A quest’ora? E poi lì vicino
c’è il cimitero. E il cimitero a Capodanno porta iella. Se non ci fossero le
ragazze mi farei una bella grattata di … Diciamo che farei gli scongiuri. Io e
Anna andiamo su, a Palazzo Mariosa, a bere qualcosa per riscaldarci. Voi
raggiungeteci quando volete. Prendetevi pure la macchina, nel cruscotto
troverete una torcia elettrica.
—
Andiamo Elena. Vieni con me. E’
un luogo bellissimo!
—
Perché dovrei? Con queste
condizioni di tempo!
—
Perché mi piaci. Tu sei diversa
dalle altre.
—
Da quante altre? A quante altre
hai detto che erano diverse dalle precedenti?
—
A tante, è vero. Ma con te è
diverso, davvero! La tua bellezza è fuori dal comune. E, a differenza delle
altre, tu non la indossi la bellezza, non ne fai uno strumento per
avvantaggiartene nelle relazioni umane. Tu non ti dai delle arie e non ti
pavoneggi. La bellezza è dentro e fuori di te. Ti permea. E tu sei te stessa e
basta. E’ per questo che appena t’ho visto ho sentito dentro di me qualcosa di
diverso dal solito.
—
Sarà stato il vedere la
sofferenza molto da vicino a rendermi diversa. Marco, ti prego, dimmi perché mi
chiedi di venire con te, a quest’ora, con questo buio, con questo tempo.
Potrebbe anche essere rischioso. Perché dovrei?
—
Non lo so perché. So solo che
già una volta, esattamente l’anno scorso, sono stato attratto qui da solo. Ora
avverto, istintivamente, in quest’altra misteriosa notte dalla ricorrenza
millenaria, che si sta per compiere una specie di rituale, per me e, forse, non
solo per me, di fondamentale importanza. E sento che può condividere con me
questo momento solo la donna della mia vita.
—
Se è così, andiamo!
* * *
L’automobile, il breve tratto del porto turistico, poi la spiaggia
del porto, il piccolo promontorio con la grotta, di nuovo la spiaggia, il
cimitero e, in fondo, abbandonata l’auto, l’ultimo tratto di sabbia prima delle
rocce.
Il vento, che nel frattempo aveva spazzato via le nubi e liberato
una candida luna piena, continuava a soffiare violento rendendo il mare
impetuoso.
Tenendosi per mano i due giovani
s’inerpicarono, in silenzio, lungo i ripidi scalini, ricavati nella roccia.
Man mano che salivano si
delineava sotto di loro, nel chiarore della luna, la suggestiva veduta della
spiaggia, che appariva molto più lontana di quanto non fosse realmente. Grosse
onde, che viste dall’alto non incutevano più timore, si susseguivano violentemente
sulla battigia, lasciandovi le loro orme spumeggianti.
Una volta su, si fermarono per
prendere fiato.
—
Avevi ragione: è bellissimo.
Sembra impossibile che siamo così vicini al centro abitato e così isolati allo
stesso tempo.
—
Non siamo ancora arrivati!
—
Ancora no!
—
Manca molto?
—
No, vieni.
E le
stampò un grosso bacio sulla guancia. Alla luce della torcia e della luna
proseguirono fra i cespugli della macchia mediterranea, in un misto di
giustificato timore e incontenibile audacia, fino alla torre.
Era una
notte, questa, che non aveva nulla a che vedere con quella calma e serena
dell’anno prima. Ora il fracasso delle onde che si frangevano sulle rocce e
l’ululato del vento creavano un’atmosfera di selvaggia eppure non ostile
violenza.
Si portarono sulla parte
anteriore della torre prospiciente al mare, che continuava ad agitarsi e a
rumoreggiare poco più in basso di loro.
La luce argentea della luna
contribuiva, illuminando la schiuma prodotta dalla violenza del moto ondoso, ad
accentuare i toni di quella tenebrosa e misteriosa notte.
Misteriosa, perché nonostante la
furia del vento e del mare essa, pur avvolgendoli completamente, non incuteva
loro paura. Era come se essi ne fossero parte, avvertendo chiaramente che non
avevano nulla da temere.
Marco guardò Elena nel profondo
dei suoi grandi e begli occhi verdi. Si fissarono per un lungo interminabile e
tenero momento. Poi, lui l’abbracciò forte, la baciò e le disse: “Ti amo”.
—
Penso anch’io, gli rispose
Elena.
—
Aspettami qui, devo scendere giù
fino al mare. Sento che questo posto e questo momento devono dirmi qualcosa.
—
Stai attento!
—
Stai tranquilla, torno subito.
So cosa faccio. Tienimi il giaccone, potrò muovermi meglio. Tu rimani qui,
potrai seguirmi con lo sguardo. Se dovessi aver paura, chiamami.
Marco lentamente, misurando con
attenzione ogni passo, scese giù fin dove poté, a circa un metro dal livello
dell’acqua. Trovò una roccia piana, relativamente protetta, e dopo aver
salutato Elena con la mano per rassicurarla, si mise ritto ad osservare l’infuriare
del mare, che più di una volta lo colpì con i suoi schizzi. L’acqua, tuttavia,
meno gelida di quanto non avesse immaginato, non lo infastidiva.
Stette in silenzio per qualche
istante, lasciandosi incorporare da tutto ciò che lo circondava: cielo, mare e
terra.
Come l’anno prima, sperimentò il
contatto con la natura diretto, immediato, pieno; senza intermediazioni, senza
interferenze, senza incertezze, senza ipocrisia.
E, tramite questa completa
consapevolezza, percepì, con un’irragionevole quanto matura sicurezza che, allo
stesso modo, era possibile porsi in relazione in modo pieno e completo non solo
con l’universo, ma anche con gli esseri viventi, con le persone, con Elena!
Sentì che era possibile avere
una percezione reale del mondo; e che forse, allo stesso modo, era possibile
ricercare e pervenire alla verità, sia nel guardarsi dentro senza remore, fin
nel profondo, sia nei rapporti con tutto l’universo rimanente.
Che la Verità esiste ed è
possibile trovarla. E che ciascuno la può far emergere in qualsiasi momento e
in qualsiasi circostanza, prima dentro di sé, poi intorno!
Mentre era assorto in questi
pensieri, un’onda più grande delle altre batté così violentemente sulle rocce
che lo investì completamente, inzuppandolo dalla testa ai piedi. A stento
riuscì a mantenere l’equilibrio.
Dopo un attimo di smarrimento,
si riprese, sentendosi completamente appagato; istintivamente comprese che era
verso quella specie di rito battesimale che, inconsapevolmente e
irresistibilmente, era stato attratto.
Si era trattato di un trasbordo
dal vecchio al nuovo millennio e una voce gridava dentro ed intorno al suo
essere che fuori dall’opzione della Verità, per l’umanità e per ciascun essere
umano, non v’è alcun futuro.
“Marco”, gridò Elena con tutte
le sue forze, spaventata dalla violenza dell’onda.
“Sto bene, Elena, non ti
preoccupare. Va tutto bene. Ora vengo su”, urlò di rimando Marco; e prese a
risalire la scogliera.
Nonostante fosse bagnato
fradicio, l’esaltazione del momento e una profonda serenità lo permeavano.
Una volta su, rassicurò Elena -
che aveva percepito il compimento di un rituale straordinario - indossò il
giaccone sopra gli abiti bagnati e, felici, andarono a raggiungere Matteo e
Anna a Palazzo Mariosa.
Dicembre 2001 (revisione del 4 giugno 2014)